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Piccola storia del più grande inceneritore italiano

Il termovalorizzatore di Brescia è entrato in funzione nel 1998. Originariamente progettato con l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno di incenerimento locale, nel tempo è stato trasformato in un impianto che “ingurgita” una quantità di rifiuti 15 volte superiore a quella prodotta dagli abitanti di Brescia.

ASM e A2A

Nel 1998, in coincidenza con l’attivazione dell’impianto, l’azienda municipalizzata proprietaria (ASM) si trasformò – a seguito della liberalizzazione del mercato energetico – in una società per azioni a maggioranza pubblica, di cui il Comune di Brescia deteneva il 70%. Nel 2008, dieci anni dopo, ASM si fuse con AEM e AMSA Milano: l’operazione portò alla nascita di A2A, una società votata al mercato tra i cui principali asset rientra proprio l’inceneritore di Brescia.

I FINANZIAMENTI

La costruzione dell’inceneritore è stata finanziata con i fondi CIP6, che assegnano incentivi agli impianti alimentati da fonti rinnovabili e assimilate. Curiosamente questi fondi sono stati destinati anche, e soprattutto, alla costruzione e alla manutenzione dei termovalorizzatori. Nel corso degli anni il settore dell’incenerimento di rifiuti ha beneficiato di sovvenzioni per oltre 35 miliardi, una parte dei quali destinati all’impianto di Brescia, che per lungo tempo ha ricevuto contributi annuali di diverse decine di milioni di euro.

I costi di tali incentivi sono stati addossati ai consumatori attraverso l’inserimento in bolletta della voce “energie rinnovabili”, pari al 7% dell’importo totale. Nel 2004 l’Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per l’assimilazione dell’incenerimento dei rifiuti alle fonti rinnovabili, ma ci sono voluti anni prima che il nostro Paese smettesse di erogare fondi CIP6 al settore dell’incenerimento: ancora nel 2006 furono elargiti 1.100 milioni di euro agli inceneritori contro i 622 complessivi a solare, eolico, geotermico e idroelettrico.

LA TERZA LINEA

L’inceneritore di Brescia è nato con l’obiettivo di smaltire i rifiuti urbani non ulteriormente differenziabili prodotti localmente, in virtù del principio di prossimità. Ma già nella fase di costruzione si palesò una forte discrepanza rispetto al progetto iniziale dell’impianto: al momento della sua attivazione, infatti, l’impianto presentava una capacità di incenerimento – con due linee – superiore alle 500 mila tonnellate annue, a fronte delle 350 mila tonnellate prodotte dall’intera provincia bresciana.

Sin dall’inizio ASM, per massimizzare i profitti economici, ha sfruttato per intero la capacità dell’impianto, facendo arrivare rifiuti da tutta Italia. Nel 2000 alcuni comitati di cittadini presentarono al TAR un’istanza di sospensiva dell’inceneritore, contestandone il dimensionamento. L’istanza fu accolta e alla fine di quell’anno l’impianto venne spento per un mese.

Tuttavia, anziché subire un ridimensionamento, negli anni successivi l’impianto viene ulteriormente ampliato: nel 2004 ASM costruisce una terza linea di incenerimento, portando la capacità annua di smaltimento dei rifiuti addirittura a 800 mila tonnellate. L’amministrazione comunale, incredibilmente, lascia fare.

La Corte di Giustizia europea nel 2007 ha bocciato l’ampliamento dell’impianto perché realizzato senza le necessarie autorizzazioni connesse alla Valutazione di impatto ambientale, eppure la terza linea non ha più smesso di funzionare, attirando a Brescia quote sempre maggiori di rifiuti importati da fuori provincia.

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